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si era focalizzata sul progetto di una motocicletta ed era molto interessato alle turbine a gas, a cui avrebbe ambito approfon- dire in Inghilterra col Professor A. Juose, esperto in materia. La vita spesso non segue i desiderata e, a causa delle precarie condizioni di salute del padre, fu riportato alla realtà e ad acce- lerare la fine del percorso accademico.
A parte le inclinazioni personali, l’Ingegnere ci ricorda che nel periodo della sua formazione universitaria, gli studi di Eco- nomia non erano valorizzati e la figura dell’ingegnere ben si addiceva a condurre un’azienda, raccogliendo in sé le fasi di progettazione, costruzione e gestione.
Dall’intervista rilasciata a Vittorio Marchi, emerge una figura
appartenente ad una generazione educata all’osservanza di re- gole semplici, e ci sottolinea di avere colmato gli inevitabili dubbi d’indirizzo, in cui si crea un “vuoto”, con la decisione del “fare”. La “volontà del fare” è, per Ernesto Laviosa, la caratteristica principale che deve contraddistinguere quanti intendano svol- gere un’attività autonoma ed accollarsi conseguentemente responsabilità imprenditoriali.
Il termine responsabilità ricorre spesso nelle parole dell’Inge- gnere, unitamente al rischio ponderato, di cui aveva fatto re- gola di vita.
Che imprenditore sarei stato senza rischiare?
Nell’intervista troviamo molto di più: in primis la nostalgia di una vita vissuta intensamente e la volontà di ripercorrerla per poterla così trasmettere alle generazioni future, ai “miei” giovani, il figlio Giovanni, i nipoti Olimpia, Ernesto, Umberto e Francesco, alla famiglia nel senso più allargato del termine e a tutti quanti mi ricorderanno.
In questo percorso a ritroso, a volte dolce, a volte doloroso, Ernesto Laviosa fa un consuntivo della propria vita, le vicende personali si intrecciano a quelle professionali e grande peso hanno gli anni giovanili, vissuti nel periodo bellico e post bellico.
La mia è la generazione alla quale sono stati tolti gli anni della gioventù e la spensieratezza dei diciott’anni. Ho dovuto vivere praticamente nascosto due anni, tra la grande apprensione dei miei familiari, ed affrontare gli anni “brutali” del primo dopoguer- ra. Non siamo stati mai “giovani”, ma per chi ha saputo reagire e porsi obbiettivi è stato un periodo di formazione del carattere.
Nelle sue parole troviamo l’affettuoso ricordo del padre Carlo, il “Sor Carlo”, persona che si distingueva per intelligenza e cor- dialità, la cui vita era improntata alla semplicità , socievole nel suo carattere di entusiasta della vita.
Carlo Laviosa, nel febbraio del 1922, si stabilisce a Livorno e avvia l’Agenzia Marittima, tramite la quale importava e com- mercializzava carbone fossile. Dall’Inghilterra, oltre al carbone, importava materie prime per l’industria refrattaria, per la fon- deria e la ceramica.
L’Agenzia Marittima dapprima nata per attività legate a propri commerci, si estese poi ai servizi di linea.
SEZIONE 20
CULTURA
Ernesto Laviosa dedica al padre parole di stima e affetto e ri- corda di avere pensato a lui nei momenti di difficoltà e a cosa avrebbe fatto al posto suo.
Queste sono le premesse di un cammino nato nel lontano 1922, fino ad arrivare ai giorni nostri, nel 2022, di cui, appunto, intendiamo celebrare il Centenario rileggendo insieme l’Inter- vista a Ernesto Laviosa, che non è mai stata un plauso al suo impegno, bensì il desiderio di divulgare il sentimento di re- sponsabilità tipico dell’imprenditore.
 
Il dopoguerra
Ci voleva coraggio!
Non c’era alternativa. Il coraggio costituiva un tratto comune: era necessario ricominciare per sopravvivere. Prendere co- scienza di ciò fu il primo avvertimento della maturità.
Le difficoltà a livello operativo erano molteplici, in ogni settore professionale.
La ditta Carlo Laviosa partecipò alla Società per la Ricostru- zione che eseguì per il Genio Civile importanti opere, fra le quali il raccordo che collega l’Aurelia col lungomare.
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  Mio padre è stato un profondo conoscitore di commerci ma- rittimi e problematiche portuali, ma grazie all’esperienza ac- quisita come importatore, fu anche in grado di intravedere la possibilità di un nuovo sviluppo dell’industria della fonderia per la quale nel 1933, iniziò a produrre Nero Minerale, grafite ed altri prodotti che non si fabbricavano in Italia e per buona parte erano importati dall’Ungheria.
Mio padre era imprenditore incline alle novità, poco disposto all’immobilità che costituiva solo un momento di sosta per raccogliere le idee.
L’Ingegnere pone l’accento sull’idea di lavoro del padre, del suo amore per il lavoro, di cui aveva una concezione di tipo militare ma anche sociale, il rigore sul posto di lavoro unito alla familiarità verso terzi e la grande attenzione ai compor- tamenti sociali.
 Ernesto Laviosa ricorda il padre che, in questo periodo diffi- cile, gli infondeva sicurezza e fiducia nel futuro, così da avvi- cinarlo al lavoro spinto dal desiderio di anticipare il domani. Fino alla fine del 1950 l’azienda aveva prodotto solo Nero Mi- nerale, poi assistiamo all’esordio della Bentonite.
In quel periodo l’Agenzia Marittima era penalizzata per la forte riduzione dei traffici, così Ernesto Laviosa si concentrò sulla produzione industriale.
Nell’ambiente delle fonderie di ghisa la Bentonite si associava necessariamente al Nero Minerale già in produzione e fu faci- le unire la vendita di entrambi.
La Bentonite era nota fin dall’antichità: i Romani usavano le ar- gille sarde per il trattamento delle lane, le argille greche come detergenti. Plinio riferisce anche di applicazioni farmaceutiche.
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